mercoledì 6 giugno 2012


Il colossale tempio di Venere a Baalbek, nemmeno il più grande
del complesso: i romani riscolpirono su un preesistente sito
megalitico di proporzioni enormi.

Baalbek, i Templi dei Giganti

Pietre lunghe 20 metri e pesanti mille tonnellate: chi riusciva nel passato a sollevare tali megaliti?

Inghilterra, Perù, Messico, Isola di Pasqua, spesso si è parlato di antiche strutture megalitiche nel mondo, posti misteriosi come le pietre ciclopiche delle piramidi di Giza in Egitto, le mura gigantesche in Francia, Giappone e così via. Strutture peraltro architettonicamente tutte simili, anche se distanti tra loro migliaia di km… Molto probabilmente questi enormi monumenti furono eretti da un'unica razza che abitò sulla Terra in epoche remotissime.
Ma quale poteva essere questa razza che aveva tali conoscenze in grado di edificare monumenti colossali strutturati da blocchi di pietra dal peso di centinaia di tonnellate? E' stata fatta spesso l'ipotesi dei Giganti di cui tutte le antiche culture del mondo parlano, ma è più probabile che si tratti di conoscenze che ancora oggi non comprendiamo e che non hanno nulla a che vedere con le ridicole ipotesi degli schiavi con slitte trainate con corde.
Le pietre che compongono il basamento del tempio sono lunghe
decine di metri e spesse altrettanto. Si possono notare le
dimensioni nei confronti con un essere umano sulla sinistra.

Tra i siti colossali più stupefacenti del mondo c'è quello di Heliopolis a Baalbek in Libano. Ciò che colpisce subito di questo enorme e antichissimo complesso sono le dimensioni. Guardando il tempio principale di Giove ci si rende conto che è al di fuori della misura umana rispetto a un qualsiasi altro tempio greco romano visibile nelle nostre città, soprattutto per quanto riguarda il basamento dell'edificio dove si possono vedere i massi più grossi, ognuno dei quali misura oltre 21 m di lunghezza per quasi 5 di larghezza e con un peso di circa 1000 tonnellate.
Ancora le dimensioni del basamento in confronto a due
piccoli esseri umani .
In nessuna parte del mondo sono stati rinvenuti monumenti di proporzioni simili.


Durante il dominio greco dei Tolomei la città fu ribattezzata Heliopolis, dedicata al Dio del sole greco Helios e a quello egizio Ra. Successivamente, durante il domino romano, la triade divina fu trasformata in quella di Giove-Venere-Mercurio, poi nell'epoca Neroniana, furono costruiti il tempio di Giove nel 60 CE, mentre allo stesso tempo fu costruito l'altare a torre d'avanti all'edificio.

Le rimanenti colonne del Tempio di Giove, oltre alle
gigantesche proporzioni mostrano un aspetto grezzo invece
che le classiche scanalature dello stile romano. Le dimensioni
sono superiori ai 40 metri.
Ma è evidente che i basamenti del colossale sito sono molto più antichi e non sono né di origine greca nè romana, dato l'uso di blocchi megalitici che costituiscono i templi, usanza non certo tipica 

di queste culture. I templi di Baalbek erano già presenti molto tempo prima, i romani poi riscolpirono i capitelli nel loro stile classico, come è possibile notare dalle colonne del Tempio di Giove ancora in gran parte grezze, e attribuendoli alle divinità latine. Di certo questo dimostra la non appartenenza a quest'ultima cultura.
(Un monolito è incastrato nel terreno a pochi passi dai templi pesa 1150 tonnellate, è una delle pietre più pesanti mai scolpite dell'uomo.)


di  Antonella Verdolino







lunedì 16 aprile 2012


 La Pietra Perduca si presenta  come un
ammasso di basalto isolato nell'ambiente collinare

La Pietra Perduca, l'isola tra le nuvole

In Val Trebbia, vicino a Piacenza, si erge una montagna sacra abitata fin dal Paleolitico dai nostri antenati: le sue caratteristiche geologiche e la posizione geografica la rendono tutt'oggi un posto unico al mondo
Forse non tutti lo sanno, ma l'Italia è un paese molto antico a livello storico-antropologico. Tutta la penisola è costellata da nord a sud di monumenti e tracce di epoca preistorica. Queste si possono ammirare sia sulle zone costiere che su quelle montane, sia alpine che appenniniche.
Non lontano da Bobbio nella provincia di Piacenza esiste un luogo dall'aspetto quasi fatato dove i primi uomini interagirono con la natura e le sue forze allo scopo di comunicare con le divinità. Questo posto è conosciuto dalla popolazione locale con il nome di Pietra Perduca; a guardarla da lontano da l'impressione di un immenso scoglio affiorante dalla terra. Infatti è proprio così; a soli due chilometri di distanza dalla gigantesca rupe, si vede la Pietra Parcellara. Si tratta anche in questo caso di una montagna dall'aspetto brullo di color marrone scuro simile alla lava solidificata.
La zona in effetti è di origine vulcanica, e questa "strana montagna", così diversa da quelle circostanti interamente ricoperte da vegetazione, secondo gli studi dei geologi, è ritenuta essere un pezzo del mantello terrestre affiorato dalle viscere del pianeta circa 250 milioni di anni fa.
La zona della Pietra Perduca in inverno diventa un luogo
freddo e suggestivo, sempre circondato da nubi.

La Pietra Perduca si presenta in estate come un ammasso di basalto isolato nell'ambiente collinare, un luogo magico e sacro agli antichi abitanti, sembra anch'essa essere fatta della stessa materia e dello lo stesso colore. Durante le ricerche fatte sul luogo durante un freddo giorno di Novembre per osservarla più da vicino, nonostante il freddo mai periodo è più azzeccato. Il motivo è che tutta la zona è completamente coperta da una fitta nebbia che ricorda quella dei film horror, dal momento che ci si trova a circa 500 metri di altitudine. La stradina che conduce alla rupe lunga un chilometro, attraversa la sinistra e fredda bruma. Quando finalmente si scorge la sagoma della grande rocca basaltica, sembra di essere in un luogo magico ma allo stesso tempo inquietante, fuori dal mondo e senza un'anima viva. In realtà tra le sue rocce si erge una piccola chiesetta costruita nel 1200, ciò dimostra la sacralità del luogo già conosciuta fin dalla preistoria. Dalle pendici del monte, si sale per un piccolo sentiero ciottoloso e viscido fino a raggiungere la cappella. Continuando l'arrampicata si incontrano lunghi canali scavati nel suolo probabilmente allo scopo di far defluire l'acqua, e ad un certo punto la prima sorpresa; una grande vasca rettangolare intagliata nella dura roccia della parete e colma d'acqua, nella quale vivono oggi colonie di tritoni. La misura è di circa 3,2x1,8 m: salendo verso la cima si incontra una scalinata anche questa intagliata nel basalto ma molto erosa che conduce alla sommità della rupe. Lo spettacolo che si presenta davanti agli occhi è stupefacente; la cima in inverno è avvolta nella nebbia, mentre tutto intorno è ricoperto dalle nuvole basse e assume l'aspetto di un isola fluttuante tra le nubi.
La scalinata intagliata nella roccia basaltica 

La zona della Pietra Perduca in inverno diventa un luogo freddo e ostile, sempre circondato da nubi. Così si presenta la Pietra Perduca con la sua chiesetta dedicata a Sant'Anna: emerge letteralmente dalle nuvole, assumendo un aspetto sinistro e misterioso.
La scalinata intagliata nella roccia basaltica realizzata dalle popolazioni liguri che qui vissero nel Paleolitico: è evidente come siano erose dal tempo.
Ovviamente in piena estate la zona presenta un aspetto ben diverso, soleggiato e con il verde dei campi a valle che fanno da cornice alle vette sovrastanti, una zona di turisti soprattutto della provincia adiacente che la conoscono per i picnic e rocciatori che vanno per allenarsi. Anche qui sono presenti almeno due grosse vasche quadrate, anche queste scavate interamente nella roccia, una delle quali piena d'acqua e dalle dimensioni di 3,35x2,6 m, la seconda invece vuota per la mancanza di uno dei lati. Gli uomini che popolarono tutta la zona fin dai tempi più remoti, erano soliti vivere in grotte situate sui pendii delle montagne e usare le cime a scopo spirituale e rituale, anche per avvicinarsi di più alla divinità. Le vasche quindi presenti in molti luoghi di culto preistorici simili, erano usate proprio a questi fini, ma anche per scopi astrologici. Come spesso affermato, le montagne hanno sempre avuto per gli antichi proprietà energetiche dal momento che queste sono nella maggior parte dei casi composte da materiale altamente conduttore. Non si sa bene come, ma costoro erano in a conoscenza di queste nozioni, e per questo ritenevano sacre tutte le vette. La principale divinità di riferimento era il Dio delle vette Penn, sposo della Dea Madre Terra, il quale ha dato origine al nome alla cetena degli Appennini e di tante altri monti recanti ancora oggi il suo nome, come ad esempio Monte Penna , Monte Pennino, Monte Penice o Monte La Penna. Questa divinità primordiale era adorata soprattutto perché ritenuto Dio della Fecondità e associato al Sole.
Una delle vasche intagliate sulla superficie
della rocca

E' evidente che essendo un pezzo del mantello terrestre, sia la pietra Perduca che la Pietra Parcellara dove anch'essa presenta vari ritrovamenti, conducano delle energie telluriche quindi magnetiche legate direttamente ai movimenti all'interno della terra, che anche la scienza riconosce. Similmente come accade in Sardegna dove alcuni studiosi affermano che gli antichi si recavano in questi posti per curarsi dai malanni, anche qui, approfittando dei benefici della materia vulcanica, la gente vi si recava a questi scopi. Sia sui bordi delle vasche che su tutta la piatta cima della Pietra, si trovano ancora una volta coppelle circolari di varie dimensioni evidentemente usate per illuminare il posto durante la notte, durante i rituali .
La sensazione che si prova stando sulla vetta è quella di trovarsi trasportate in un'altra dimensione, come se fosse un mondo a parte. In alcuni punti ricordava tanto le vette andine del Perù, sia nell'aspetto che nell'atmosfera quasi "magica". Durante le epoche a venire la gente ha continuato a frequentare questo posto, infatti in epoca medievale sorse la chiesetta che ancor oggi si erge incastonata tra le rocce della rocca.
La Pietra Perduca resta un luogo importantissimo, che attraverso il suo linguaggio scritto nella pietra ci fornisce un altro tassello per la ricostruzione della nostra storia più antica.

di Antonella Verdolino
foto  © Antonella Verdolino

venerdì 24 febbraio 2012


Le grotte di Longmen in Cina scavate a migliaia
nella montagna

Cina, le grotte dei Buddha 

Le grotte della Cina sono popolate da migliaia di statue di Budda che si estendono per chilometri nel sottosuolo dell'Asia.
Le grotte di Loyang, nella provincia di Henan, in Cina sono un complesso di caverne artificiali scavate nella roccia lungo le pareti del fiume Luo. Sito protetto dall'Unesco, Loyang vanta 15mila statue di Budda presenti all'interno delle migliaia di grotte che costellano la zona, molte delle quali sono di dimensioni tali da rendere impossibile una lavorazione con strumenti semplici.

Nella ricerca e nello studio delle antiche grotte megalitiche nel mondo, sorprendono per bellezza e per dimensioni soprattutto quelle che si estendono nel continente asiatico; molti furono le città e i luoghi stanziati sulla Via della Seta e in alcuni di questi si trovano straordinarie grotte e lunghe gallerie scavate nella roccia. Diversi sono anche i popoli che hanno interagito in quest'area tra l'antica Cina e gli altri paesi limitrofi come la Mongolia, la Siberia, il Kazakistan o il Turkmenistan; tra cui citiamo i Pazirik e i Kushan delle steppe Russe.

Tra le antiche località della Cina che mostrano le meraviglie artistiche e megalitiche ci sono Luoyang, Longmen, Dunhuang o Yungang dove ancora oggi si possono ammirare le centinaia di grotte scavate direttamente nella roccia delle montagne con tanto di enormi sculture rappresentanti il Budda. Le Grotte di Longmen sono scavate a centinaia su entrambi i lati del fiume Yi in verticale sulle pareti rocciose, la vista nell'insieme è spettacolare; un'enorme costone punteggiato di caverne simili a un vespaio, mentre al centro di queste si erge maestosa e colossale una statua del Budda interamente intagliata in un unico blocco di roccia. Ciò che lascia impressionati è l'immensa mole di lavoro che immaginiamo abbiano compiuto coloro che scolpirono tali opere, sicuramente sono ancora una volta frutto di grandi conoscenze ma soprattutto di grande evoluzione mentale.

Le grotte di Longmen, come quelle di Dunhuang e Yungang, tutte in Cina, mostrano le medesime caratteristiche e la medesima lavorazione megalitica colossale. In quest'area vissero popolazioni bianche di stirpe Cro-Magnon, come Tocari e i loro discendenti Kushan. E' probabile che furono questi a scolpire, queste enormi opere nella roccia viva. Si può notare la similitudine tra queste aperture e quelle utilizzate per scopi abitativi da altre popolazioni Cro-Magnon come Liguri e Sicani. Altri luoghi che presentano lo stesso aspetto sono le falesie dei Tellem in Mali e le città degli Anasazi, in Arizona. Tutte queste culture hanno origine da una civiltà globale comune.
Sono innumerevoli gli antichi monasteri e lamaserie ancora popolati dai monaci disseminati ovunque in tutta l'Asia orientale persi in mezzo al nulla in cui sono state trovate da alcuni esploratori e avventurieri di fine Ottocento e inizio Novecento.
Statue del Buddha scolpite nelle grotte di Yungang

Altre grotte meravigliose si trovano nella provincia di Shanxi non lontano da Pechino, sono le caverne di Yungang considerate tra uno dei più belli esempi di architettura nella roccia. Si tratta di un complesso di 252 caverne tutte intagliate su una parete di roccia per circa un chilometro e con più di 51mila statue del Budda di ogni dimensioni. Anche qui la datazione dell'enorme complesso è stata datata fra il 460 ed il 525, durante la dinastia Wei. Alcune di queste sono più recenti di altre evidentemente più antiche, anche perché le prime sono meglio conservate, ma come abbiamo già accennato, sicuramente i monaci buddisti hanno più tardi realizzato alcune di queste gallerie e magari ritoccato altre più antiche.

Nella regione dello Uighur (l'odierno Xinkjang) invece, a Dunhuang nella Cina occidentale dove passa la Via della Seta, si trovano le celebri Grotte dei Mille Budda che similmente a tutte le altre sono scavate su rupi rocciose, alle cui gallerie si accede tramite corridoi che conducono in varie sale più ampie. Queste sono unite ad altre grotte passando su una sorta di balaustra in modo da passare da un tempio all'altro; all'interno si trovano alcune nicchie, mentre sulle pareti sono dipinte meravigliose scene i cui personaggi rappresentati in vesti di monaci buddisti ma con pelle bianca, capelli rossi e occhi azzurri, che ricordano molto quelle popolazioni come i Tocari le cui mummie furono rinvenute a migliaia sotto le sabbie del deserto del Taklamakan tra le rovine dell'antica città di Loulan.

Le grotte di Yungang mostrano statue di Budda alte decine di metri e molte decorazioni rupestri; si possono notare le orecchie enormi e l'acconciatura a crocchia, tipiche delle raffigurazioni dei Tocari e dei Kushan. Ma forse in realtà si tratta della deformazione visiva dei crani dolicocefali tipici delle popolazioni di etnia Cro-Magnon.

di Antonella Verdolino

martedì 21 febbraio 2012

La scalinata verso il cielo incisa nella roccia
Perperikon: il Tempio inciso nella roccia

In Bulgaria un'incredibile montagna scavata dall'Uomo venne usata fin dalla Preistoria come santuario megalitico uno dei luoghi in Europa più ricchi di ritrovamenti archeologici megalitici risalenti alla preistoria. Perperikon è conosciuto anche come Hyperperakion, situato a est della catena montuosa del Rhodopi a circa 15 chilometri dalla cittadina di Kurdzhali, vicina al fiume Perperishka. Si tratta di un ritrovamento archeologico, di notevoli dimensioni, il più vasto finora trovato nei balcani, posto su una collina rocciosa a 470 metri di altezza. Il sito megalitico di Perperikon è interamente scavato nella roccia della montagnola, dove è possibile vedere centinaia di coppelle, vasche, grotte, sedili intagliati nelle pareti, poggi, un impressionante altare tondo di quasi due metri di diametro e perfino scalinate. I massi sono ricoperti di pitture e graffiti di corpi umani, e figure geometriche simboliche. E' più che probabile che si tratti di un luogo sacro, di un antico santuario megalitico. Le prime tracce umane documentate dall'Archeologia ufficiale in quest'area risalgono a settemila anni fa in piena epoca preistorica, ma certamente i megaliti sono risalenti al Pleistocene. 
Intagli a forma di trapezio
sulla parete verticale
In alcune nicchie, sono impressionanti i tagli netti, come se fossero stati "segati" a colpi di moderne ed a motore, lo stesso vale per le pareti perfettamente levigate.
 E' evidente che la gente che creò tale opera era legata fortemente alla Terra e quindi connessi al culto ancestrale della Dea Madre Terra. Le evidenze archeologiche di tale culto sono il simbolo del Trapezio. Ciò che più impressiona osservando il sito di Perperikon, oltre al santuario megalitico, sono le miriadi di nicchie tutte della stessa misura, di forma trapezoidale intagliate sulle pareti a picco della montagna a circa 400 metri di altezza! La profondità ridotta delle nicchie ne impedirebbe un uso funebre: resta quindi incerta la loro funzione, anche in virtù del loro allineamento.
 La veduta dal basso del fianco della montagna di Perperikon mostra, come in altri casi, pareti erose con una moltitudine di grotte e anfratti naturali e artificiali.. Resta l'interrogativo di come gli antichi riuscissero tagliare la roccia su uno strapiombo e soprattutto sulla loro funzione reale. 
Proprio come ad esempio i pozzi sacri in Sardegna e a Cuma nell'Antro della Sibilla, i riti di fertilità e di purificazione vi si svolgevano regolarmente, nonché l'osservazione delle stelle similmente come avveniva in altri luoghi conosciuti in Europa come Stonehenge, Carnac in Bretagna, il Musiné, la Sardegna ed altri in Italia.; in questi siti i popoli antichi riuscivano a percepire le correnti magnetiche terrestri e a edificare megaliti anche a scopi curativi. La forma del Trapezio inoltre rappresentava l'anatomia sessuale femminile da cui nasce la vita, e quindi ecco perché come si vede se si guarda dall'alto la geometria dei pozzi di Sardegna, il disegno in generale riproduce l'organo riproduttivo femminile nella sua interezza. La Madre Terra così veniva vista come la nostra madre, colei che ci nutre e da cui siamo nati. Le vasche presenti sul sito di Perperikon contengono acqua piovana, ed è molto probabile che si trattasse di vasche legate ai riti di fertilità o di purificazione, usate successivamente in epoca romana come tombe. 
Una delle vasche presenti sul sito di Perperikon,
che contiene dell'acqua piovana.

 Paul Gendrop, professore di ricerche di architettura dell'Università Nazionale di Città del Messico e docente di arte e archeologia dell'Università di Parigi, nonché autore di diversi libri sulle culture antiche mesoamericane, asserisce che alcuni autori identificano anche nella cultura Olmeca e in altre antiche popolazioni mesoamericane…"si riconoscono in alcune figure gli attributi della Dea Madre divinità della terra associate al culto delle grotte" - culto come visto professato ovunque esistano grotte scavate con megaliti - e luoghi sacri che simbolizzano bocche aperte attraverso le quali si accede nel mondo sotterraneo"… Le scale intagliate nella roccia che salgono a Perperikon sono molto erose e denotano una notevole antichità, mentre le coppelle orizzontali che delimitano il bordo della scala, venivano forse utilizzate come illuminazione del percorso. Ovviamente quelle che si vedono sono costruzioni preistoriche; anche se i Traci che successivamente vissero sul luogo derivano anch'essi da stirpi cosiddette Indoeuropee come il popolo che li precedette a Perperikon.

Coppelle circolari che delimitano il bordo della scala.
Si pensa che l'oracolo che si trova in cima alla montagna sacra sia dedicato alla divinità tracia Zagrey, l'equivalente al Dioniso dei Greci connesso al cielo. Comunque il sito fu utilizzato come tempio sacro per millenni, fin dentro l'epoca classica. A Perperikon si notano infatti al di sopra dei massi ciclopici, altre costruzioni in mattoni di dimensione notevolmente inferiori e dunque più recenti, proprio come accadde a Machu Picchu in Perù, dove le capanne costruite con piccoli sassi dagli indios sono poste sopra gli enormi massi edificati dalla cultura che li precedette millenni prima. E' evidente la ragguardevole similitudine di lavorazione tra culture apparentemente diverse e lontane tra loro, ma che entrambe fanno pensare a opere e caratteristiche non convenzionali e appartenenti alla medesima cultura. Successivamente molti altri popoli invasero la zona tra cui i soliti Romani, costruendo una fortezza intorno alla collina, all'interno della quale trovano posto templi e quartieri residenziali. 

 Esattamente ai piedi della collina rocciosa invece, c'è il villaggio di Gorna Krepost, in bulgaro "castello in cima"; non è un caso il nome del luogo, così come il significato. Di solito da ciò che si è potuto verificare in luoghi simili a questo, è la presenza sul monte stesso o di uno adiacente, di una fortificazione alto-medievale sulla sommità. Ciò che più incuriosisce di Gorna Krepost è sicuramente la presenza di una torre ottagonale che è parte della fortezza medievale, costruita con grandi blocchi di pietra rettangolari. La questione è interessante perché abitualmente costruzioni medievali simili, di pianta ottagonale ricordano la simbologia della cultura dei Cavalieri Templari.

di Antonella Verdolino

lunedì 20 febbraio 2012

Ingresso della Crypta Neapolitana
Foto © Antonella Verdolino
La Crypta Neapolitana

Ai piedi della collina di Posillipo si apre una colossale galleria conosciuta come Crypta Neapolitana.
La leggenda ritiene stata scavata dal celebre poeta Mago Virgilio in una sola notte con l'aiuto della magia. Virgilio, grande poeta dell'Impero Romano di Augusto, é entrato nella storia e nel cuore della città partenopea più come mago che come poeta. Nel 30 BCE Virgilio si trasferì a Napoli, e fu proprio in questa città, sulla tranquilla e verde collina di Posillipo, che decise di stabilirsi per il resto della sua vita. Ed è qui che il poeta scrisse le Georgiche e le Bucoliche e infine l'Eneide. Il folclore popolare ritiene che fu Virgilio a costrurire un cavallo di metallo che aveva il potere di guarire con lo sguardo le ferite dei cavalieri, la costruzione delle fogne, la costruzione delle cinta murarie della città, una mosca d'oro o di bronzo secondo alcuni, allo scopo di purificare l'aria dagli insetti, una sanguisuga d'oro per purificare le acque infestate proprio da questi parassiti e molto altro. Tornando alla Crypta Neapolitana, questa enorme galleria che collega Napoli a Fuorigrotta, facilitava in tempi antichi il viaggio fino Pozzuoli; un'opera ciclopica scavata interamente nella collina in tufo, alta da un minimo di due metri e ottanta circa nelle zone più basse, ad un massimo di circa 8-9 metri o anche oltre nella parte più alta e all'entrata; la lunghezza era di circa 700 metri e la larghezza di 3,20 metri. I racconti dell'epoca descrivono la grotta come "incombente", c'era chi come Seneca la chiamava la "lunga prigione", un luogo talmente oscuro che non bastavano i sessantaquattro lampioni presenti ad illuminarla. Un luogo asfissiante, tetro e inquietante da intimorire chiunque la percorresse, così polverosa e lunga da non riuscire a vedere l'uscita, e spesso per questo, luogo di diversi incidenti. Si affermava che agli equinozi, il Sole tramontava esattamente di fronte alla grotta e la luce che la attraversava riusciva ad illuminarla fino all'uscita del lato opposto. Il ritrovamento nella Crypta di un tempietto Mitraico dimostra che in seguito la grotta fu scelta e usata per svolgere anche i culti solari dedicati al Mitraismo. E' più che probabile che non fu Virgilio a compiere questo prodigio. Probabilmente la colossale opera è da attribuire al remoto popolo dei Cimmeri, un popolo legato anche alla storia della realizzazione dell'Antro della Sibilla cumana, tra l'altro un luogo tanto suggestivo da ispirargli il personaggio della sacerdotessa divinatrice raccontata nell'Eneide. Questo popolo dei Cimmeri descritto da autori classici, primo tra tutti Omero, è legato da sempre al mistero del mondo sotterraneo ed è considerato tra i più antichi abitanti della zona di Cuma e dei Campi Flegrei. Era una stirpe che realizzava opere megalitiche e che usava scavare o intagliare immense grotte, solitamente con la particolare forma a trapezio. Cuma deriva dal nome greco dei Kymamineira e poi Kymmeri o Kummeri. Quando molto più tardi arrivarono i Romani, ribattezzarono la allora greca "Dicearchia", con il nome di "Puteoli", la città principale dell'area flegrea e porto dell'antica Roma.
l termine Puteoli significa "Pozzi" o "Cavità", proprio perché essi scoprirono gallerie, che si estendevano nel sottosuolo della città e delle aree limitrofe. Quindi i greci, primi colonizzatori stranieri di questa terra, quando arrivarono, trovarono già sul luogo queste grotte.
Comunque questo è solo una minima parte di ciò che è visibile nella zona della collina di Posillipo e dintorni e Virgilio di tutto questo ne era consapevole fin dall'inizio.

di Antonella Verdolino
Foto © Antonella Verdolino

sabato 18 febbraio 2012

Interno della galleria dell'Antro della Sibilla
Foto © Antonella Verdolino

Il mistero dell'Antro della Sibilla

A Cuma, nella zona dei Campi Flegrei in provincia di Napoli esiste una misteriosa galleria scavata in una montagna che presenta sconcertanti analogie con la piramide Maya di Palenque
In termini turistici l'Antro della Sibilla è un apprezzato sito archeologico che sorge sulla sommità di una collina vulcanica; si tratta dell'acropoli di Cuma, a Pozzuoli, in provincia di Napoli. Questo sito non solo è importante perché è la colonia greca più antica d'Italia: la sua origine infatti risalirebbe al IX-VIII BCE, quando una colonia di calcidiesi provenienti dall'isola Eubea si stanziarono su questa superficie già abitata da popolazioni autoctone più arretrate. Ma un altro motivo che rende importante questo posto è il cosiddetto Antro, il luogo in cui vaticinava la Sibilla Cumana. Questa enigmatica grotta a forma di trapezio è stata attribuita appunto alla residenza (o "al posto di lavoro") della celeberrima Sibilla Cumana, consacrata al dio Apollo: si dice che questa antica sacerdotessa, le cui origini si perdono nel mito, prevedesse il futuro rispondendo in modo enigmatico e ambiguo ai quesiti degli antichi guerrieri, greci ma anche romani, che le sottoponevano prima di partire per la guerra. Da lei non a caso deriva il termine "sibillino". Ufficialmente la galleria sarebbe stata realizzata dagli antichi Greci e poi dai già citati Romani, venendo prodotta in due periodi: il primo tra il VI e il V secolo BCE quando furono scavati in un tufo molto duro la galleria e la sala dell'oracolo; poi successivamente, nel IV-III secolo BCE, fu modificata e ampliata.

Un'altra ipotesi attribuisce l'origine della grotta a tempi più recenti, in quanto qualche archeologo dice essere stata scavata al tempo della Seconda Guerra Mondiale allo scopo di usarla come bunker o deposito di munizioni.
Una riflessione però ci viene in mente: che siano stati i Romani o i Nazisti, perché prendersi il disturbo di scavare a forma di trapezio invece che una semplice galleria a sezione rettangolare? Di certo guardando l'Antro nel suo insieme non ha molto lo styling dell'architettura romana! Infatti da una attenta analisi si può notare una sorprendente analogia con la galleria che conduce alla celeberrima tomba sotto la piramide Maya del re Pacal, a Palenque in Messico. La cosa sarebbe già clamorosa di per sé: tuttavia questo non è l'unico esempio, ben altri sono i siti archeologici nel mondo in cui sono state riscontrate le similitudini con questo monumento. Ricordiamo ad esempio le porte a trapezio delle tombe etrusche, in Toscana e Lazio, anch'esse alquanto misteriose, o addirittura il nostro pensiero va a quelle mura megalitiche del popolo inca a Cusco e a Ollantaytambo in Perù. Cosa assai strana, se si pensa che tutte queste popolazioni antiche erano distanti tra loro migliaia di chilometri ma con una cosa in comune così peculiare come la "porta a trapezio".
Ancora oggi diversi ricercatori tentano di capire quale fosse il reale significato del trapezio azzardando ogni tanto varie ipotesi...in realtà la spiegazione esiste ed è chiara, ma per adesso non è questa sede per spiegarlo. Entrando nella grotta, alta cinque metri, larga due e mezzo e lunga circa 131 m, si nota che sulla parete destra si aprono nove aperture anch'esse a forma di trapezio, mentre a un certo punto si vede impressa sul muro una profonda impronta di una mano scavata nella roccia. Verso la metà del corridoio sulla sinistra si trova un'apertura di forma quadrata con tre bracci disposti a croce anch'essi trapezoidali. Queste tre aperture sono poste più in basso e vi si accede da una piccola scala posta sulla sinistra di ogni sala ma oggi sbarrata. In fondo alle sale si trovano delle vasche che ricordano vagamente dei sarcofagi ma di dimensioni molto più ridotte. Poco più avanti, sempre sulla sinistra, si apre quella che sembra essere una piccola stanza larga pochissimi metri quadri e alta circa 1,60 m, con all'interno una sorta di singolarissimo "divanetto" angolare in pietra. Arrivando poi sul fondo della galleria si entra in una sala quadrata attraverso un arco, ma stavolta a sesto tondo: e subito sulla sinistra si accede, sempre attraverso un arco tondo ma più basso del precedente, in quella che dovrebbe essere la stanza dell'oracolo, anche qui con tre archetti tondi disposti a croce. Ad una persona che accede nella prima stanza e guarda verso l'oracolo ha subito l'impressione di trovarsi di fronte a un'anticamera e che la galleria continui attraverso queste tre porte, ma subito ci si rende conto che questi ultimi sono chiusi, come se degli enormi blocchi cubici ostacolassero l'accesso in queste porte. Magari qualche camera segreta o addirittura altri corridoi che condurrebbero chissà dove. Forse il famoso accesso agli inferi che il poeta Virgilio racconta nella sua famosissima Eneide.
La "Stanza dell'Oracolo" nell'Antro della Sibilla
Foto © Antonella Verdolino

Come già accennato prima, guardando la grotta del sarcofago di Pacal è molto simile nella forma all'Antro della Sibilla.
Tutta la zona dei Campi Flegrei è connessa al mito degli inferi e dell'Ade. Il vicinissimo Lago d'Averno per i classici celava l'ingresso al Tartaro, l'oltretomba dei popoli greco-romani. Non a caso Virgilio manda qui il suo eroe Enea per incontrare il padre Anchise nei Campi Elisi; e forse non a caso sotto il livello dell'Antro esiste la Cripta Romana, un'incredibile esempio di architettura e di ingegneria sotterranea che collega la zona di Cuma proprio al Lago d'Averno, congiungendosi alla Grotta di Cocceio. Il tunnel è esplorato per 180 metri, ma oltre i detriti potrebbe proseguire ancora, inesplorato.
Cuma è un posto fantastico e fuori dal mondo, ma c'è un altro luogo famosissimo che presenta un tipo di architettura a forma di trapezio. Questo strano stile si trova all'interno della grande Piramide di Cheope in Egitto, nella silouette della Grande Galleria. E non basta: qui si trova, nella Camera della Regina, una specie di porta trapezoidale sulla parete formata dagli stessi massi della piramide. Quest'ultima presenta similitudini con un'altra porta in un sito archeologico Maya a Xocicalco in Messico.

La Grande Galleria della Piramide di Cheope mostra chiaramente l'architettura a trapezio.La Camera della Regina sempre nella Piramide di Cheope mostra questa strana apertura trapezoidale-piramidale in una parete verticale.A Xocicalco, in Messico, i Maya costruirono un tempio con la stessa identica apertura trapezoidale presente a Giza.

. Cosa poteva unire Cuma con la cultura maya, con quella egizia e a quella inca? Sicuramente è esistita un'unica cultura molto antica che ha realizzato lo stesso tipo di architettura in tutti questi luoghi del mondo, un'architettura di tipo megalitico edificata da una civiltà che fosse a conoscenza di tecniche avanzate; un'antica civiltà che ha dato origine alla metafora di Atlantide. Considerando questa possibilità e il perché proprio qui scavare la grotta, ci viene da pensare che a ovest, a pochi chilometri dal complesso archeologico, si trova l'isola di Ischia, in cui si troverebbe uno degli ingressi per il mondo sotterraneo. Proprio nei Campi Flegrei si parla su alcuni documenti dei secoli passati del misterioso popolo dei Cimmeri citati anche da Omero nell'Odissea. Questo popolo era legato al mondo sotterraneo Flegreo, antichi abitanti della zona cumana che vivevano nel sottosuolo molto tempo prima che vi arrivassero i Greci e i Romani. Gli stessi sono citati anche da Strabone, che li descrive come una popolazione che viveva in "case sotto il suolo chiamate argille e attraverso le gallerie si visitavano l'un l'altro" - una tipologia abitativa che ricorda gli indiani Anasazi degli Stati Uniti e le città delle fate della Cappadocia in Turchia - e che gli antichi identificavano con i morti che uscivano dall'Ade. Quindi è probabile che gli stessi, magari proprio entrando dall'Antro della Sibilla o forse da un luogo lì vicino, giungessero fino ad Ischia e da lì spingendosi in luoghi più lontani attraverso altre ramificazioni. Forse proprio dietro le ipotetiche porte della sala dell'oracolo si potrebbe celare uno degli ingressi a questo misterioso mondo sotterraneo…
                                                                                                                                                              

di Antonella Verdolino
Foto © Antonella Verdolino